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Bisogna lasciarsi sempre guidare dalle intuizioni.

Qualche giorno fa decido di uscire e andare di persona a parlare con la titolare di una farmacia dove è una curiosa statua da mostrare a un prossimo gruppo, anziché sbrigare la faccenda con una semplice telefonata. L’intuizione: una vocina mi suggeriva di uscire e buttarmi nei carruggi.

La farmacia è nel dedalo più fitto dei vicoli, dove perdo spesso l'orientamento, tra vicoli stretti e decisamente oscuri, in ogni senso, e case altissime che precludono la vista anche ai campanili delle chiese, che sono solita usare come punti di riferimento.

Percorro l'unica via che conosco a menadito e arrivo alla farmacia mentre ne sta uscendo un signore col bastone, e con un enorme mazzo di chiavi al collo. La farmacista me lo presenta e scopro così che è un famoso studioso del centro storico. Lui subito si offre di mostrarmi tesori nascosti di quell’angolo di città dove “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”, e così ci incamminiamo.

Andiamo lentamente, interrotti a ogni passo da qualcuno del quartiere che si ferma per un saluto.

Per me, abituata a muovermi dove l’indifferenza ti avvolge come una pesante e a volte rassicurante nebbia, questa affabilità è insolita.

Il centro storico, o almeno le porzioni di esso rimaste lontane dalla Genova bene, dai carruggi che si sono rifatti il trucco a uso e consumo dei borghesi e dei turisti, è una città nella città, un’isola lontana da ogni legge civile e morale.

E come mi spiega il mio Cicerone personale, dove si vive benissimo, basta rispettare un’unica legge: quella della gentilezza.

E così, nel nostro procedere, ci fermiamo a scherzare con una prostituta, mezzo in italiano e mezzo in spagnolo e incontriamo gente che arriva davvero da tutto il mondo. La mia mente ancora torna a Fabrizio De André e alla sua “Città Vecchia”:

In quell'aria spessa carica di sale

Gonfia di odori

Lì ci troverai i ladri gli assassini

E il tipo strano

Quello che ha venduto per tremila lire

Sua madre a un nano

Se tu penserai e giudicherai

Da buon borghese

Li condannerai a cinquemila anni

Più le spese

Ma se capirai se li cercherai

Fino in fondo

Se non sono gigli son pur sempre figli

Vittime di questo mondo

Giriamo di qui, giriamo di lì, e già io ho perso l’orientamento.

Guardi lì, dietro l’angolo. Sporga la testa nella piazzetta”, suggerisce la mia preziosa guida; alzo gli occhi al cielo e ho la più bella vista del campanile delle Vigne. Solo da quell’angolo di quella piazzetta si ha l’angolatura perfetta!

 

Campanile Vigne

Arriviamo quindi davanti a un palazzo vecchissimo. Tutto qui è vecchissimo, ed è un brivido pensare che intorno a me ho solo case del XII secolo. Ancora in piedi, ancora lì davanti a me, novecento anni dopo.

 

Il portale sbiadito è in pietra di promontorio. La porta tutta rattoppata è stata impreziosita da un murales che rappresenta forse una moderna madonna, o più probabilmente una delle maddalena di quei carruggi.

Ripenso aI mio accompagnatore come a un “San Pietro dei Vicoli”: ha le chiavi di tutti i portoni.

 

Entriamo.

 

Ed è come entrare in libro di fantasia: atrio e scalone completamente coperti da azulejos, o laggioni, le piastrelle smaltate e coloratissime tanto in voga nel medioevo. Intatte, così come le colonne in marmo.

 

 La mia guLepre sedutaida mi invita a salire le scale, e su al secondo piano una   seduta in pietra di promontorio, con le piastrelle ai muri. Le vedo le   signore di 900 anni fa, nelle sere estive, con la finestra aperta sulla   luna nel vicolo, a raccontarsi i loro guai, i loro sogni, i loro amori….

 

 

 

Lepre affresco

Scendo, perché altri portoni mi aspettano. Innanzitutto quello di una bottega d’arte,  dal cui soffitto occhieggia una musa, che con la mano indica chissà che, chissà chi  sotto di lei. Sulla volta storie di uomini in viaggio, immagini di galee per mare. Lì si può passare il tempo guardando gli affreschi e immaginando storie di viaggi lontani, o di tesori carpiti in terre straniere.

Il portone accanto è forse il più conosciuto: ha ospitato il “Lepre”, l’ultimo bordello chiuso a Genova. L’interno è deludente, con un pavimento stile art nouveau.

 

L’ultima sorpresa è il palazzo dove abita il mio chaperon. Muri sbrecciati, e un portone malfermo che si apre su un’altra storia da raccontare: quella delle 22 colonne in marmo ordinate dalla Chiesa delle Vigne quasi mille anni or sono a un mercante genovese. Si rovinarono un po’ nel viaggio per mare, forse le imbarcazioni presero una tempesta, o forse i cammalli ebbero poco riguardo. Fatto sta che i responsabili della chiesa, una volta viste le colonne, non le vollero più. E il nostro mercante se le mise in casa! 22 colonne in marmo bianco.

Esco da quel labirinto buio di visioni fantastiche; ritrovo la Genova che riconosco, quella tirata a lucido e so che d’ora in poi avrò sempre nostalgia di quel mondo magico.

 

Grazie al Signor Gianni Mazzarello, "San Pietro dei Vicoli" con le chiavi del Paradiso di ogni guida!